Tutta la nostra perfezione consiste nell’amare il nostro amabilissimo Dio:
Charitas est vinculum perfectionis. (
Questa dunque è la maggior gloria, che noi possiamo dare a Dio, l’adempire in
tutto i suoi santi voleri. Il nostro Redentore, che venne in terra a stabilire la
divina gloria, questo principalmente venne ad insegnarci col suo esempio. Padre:
Hostiam et oblationem noluisti, corpus autem aptasti mihi; tunc dixi ecce venio,
ut faciam, Deus, voluntatem tuam. (
Tutti i Santi in ciò hanno avuta sempre fissa la mira in fare la divina volontà, ben intendendo, che qui consiste tutta la perfezione d’un’anima.. Diceva il B. Errico Susone (l. 2. c. 4) Dio non vuole, che noi abbondiamo de’ lumi, ma che in tutto ci sottomettiamo alla sua volontà. E S. Teresa: Tutto quello, che dee procurare chi si esercita nell’orazione, è di conformare la sua volontà alla divina; e si assicuri, che in questo consiste la più alta perfezione. Chi più eccellentemente la praticherà, riceverà da Dio i più gran doni, e farà più progressi nella vita interiore. La B. Stefana da Soncino Domenicana essendo un giorno in visione condotta in cielo vide alcune persone defonte, ch’ella avea conosciute, collocate tra’Serafini, e le fu detto, che quelle erano state sublimate a tanta gloria per la perfetta uniformità, che aveano avuta in terra alla volontà di Dio, che un Serafino colla mia.
In questa terra dobbiamo apprendere da’Beati del cielo come abbiamo da amare
Dio. l’amor puro, e perfetto, che i Beati in cielo hanno per Dio, è nell’unirsi
perfettamente alla sua volontà. Se i Serafini intendessero esser suo volere, che
s’impiegassero per tutta l’eternità ad ammucchiare le arene de’lidi, o a svellere
l’erbe de’giardini, volentieri lo farebbero con tutto il lor piacere. Più; se Dio
facesse loro intendere, che andassero ad ardere nel fuoco dell’Inferno, immediatamente
si butterebbero in quell’abisso per fare la divina volontà. E questo è quello, che
c’insegnò a pregare Gesù Cristo, cioè l’eseguire la volontà divina in terra, come
la fanno i santi in cielo: Fiat voluntas tua sicut in caelo et in terra.
(
Il Signore chiamava David l’uomo secondo il suo cuore, perchè David adempiva
tutti i suoi voleri: Inveni virum secundum cor meum, qui faciet omnes voluntates
meas. (
Se dunque vogliamo compiacere appieno il cuore di Dio, procuriamo in tutto di conformarci alla sua divina volontà; e non solo di conformarci, ma uniformarci a quanto Dio dispone. La conformità importa, che noi congiungiamo la nostra volontà alla volontà di Dio; ma l’uniformità importa di più, che noi della volontà divina, e della nostra ne facciamo una sola, sì che non vogliamo altro se non quello, che vuole Dio, e la sola volontà di Dio sia la nostra. Ciò è il sommo della perfezione, a cui dobbiamo sempre aspirare; questa ha da esser la mira di tutte le nostre opere, di tutti i desideri, meditazione, e preghiere. In ciò abbiamo da pregare ad ajutarci tutti i nostri santi Avvocati, i nostri Angeli Custodi, e sopratutto la divina Madre Maria, la quale perciò fu la più perfetta di tutti i Santi, perchè più perfettamente ella abbracciò sempre la divina volontà.
Ma il forte sta nell’abbracciare la volontà di Dio in tutte le cose che avvengono o prospere, o avverse a’nostri appetiti. Nelle cose prospere anche i peccatori ben sanno uniformarsi alla divina volontà; ma i santi si uniformano anche nelle contrarie, e dispiacenti all’amor proprio. Qui si vede la perfezione del nostro amore a Dio. Diceva il V. S. Giovanni Avila: Vale più un benedetto sia Dio nelle cose avverse, che sei milia ringraziamenti nelle cose a voi dilettevoli.
Di più bisogna uniformarci al divina volere, non solo nelle cose avverse, che
ci vengono direttamente da Dio, come sono le infermità, le desolazioni di spirito,
la povertà, laorte de’parenti, e simili; ma ancora in quelle, che ci vengono per
mezzo degli uomini, come sono i dispregi, l’infamie, l’ingiustizie, i furti, e tutte
le sorte di persecuzioni. In ciò bisogna intendere, che quando noi siamo offesi
da alcuno nella fama, nell’onore, ne’beni, benchè il Signore non voglia il peccato
di colui, vuole nondimeno la nostra umiliazione, la nostra povertà, e mortificazione.
E’ certo, e di fede, che quanto avviene nel mondo, tutto avviene per divina volontà.
Ego Dominus formans lucem et tenebras, faciens pacem, et creans malum. (
Giobbe allorchè venne il nunzio (che vogliono essere stato il demonio) a dirgli,
che i Sabei si aveano tolte tutte le di lui robe, e gli aveano uccisi i figli; il
Santo che rispose: Dominus dedit, Dominus abstulit. (
Narra Cesario (lib. 10, c.6) che un certo Religioso, benchè non fosse punto differente dagli altri nell’esterno, non però era giunto a tal santità, che col solo tatto delle sue vesti guariva gl’infermi. Il suo Superiore di ciò maravigliandosi gli disse un giorno, come mai facesse tali miracoli, non facendo una vita più esemplare degli altri. Quegli rispose, che ancor esso se ne maravigliava, e che non ne sapeva il perchè. Ma qual divozione voi praticate, ripigliò l’Abbate? Rispose il buon Religioso ch’egli niente o poco faceva, se non che aveva sempre avuta un gran cura di volere solo ciò, che Dio voleva, e che il Signore gli aveva fatta questa grazia, di tenere abbandonata la sua volontà totalmente in quella di Dio. La prosperità (disse) non mi solleva, nè l’avversità mi abbatte, perchè io prendo ogni cosa dalle mani di Dio, ed a questo fine tendono tutte le mie orazioni, cioè, che la sua volontà perfettamente in me si adempia. E di quel danno (ripigliò il Superiore), che l’altr’jeri ci fece quel nostro nemico in toglierci il nostro sostentamento, mettendo fuoco al podere dov’erano le nostre biade, i nostri bestiami, voi non aveste alcun risentimento? No, Padre mio, egli rispose; ma al contrario ne rendei grazie a Dio, come lo soglio fare in simili accidenti, sapendo che Dio tutto fa, o permette per gloria sua, e per nostro maggio bene, e con ciò vivo sempre contento per ogni cosa, che avviene. Ciò inteso l’Abbate, vedendo in quell’anima tanta uniformità alla volontà divina, non restò più maravigliato, che facesse sì gran miracoli.
Chi fa così, non solo si fa santo, ma gode ancora in terra una pace perpetua.
Alfonso il grande (Panorm. in Vita) Re di Aragona, Principe savissimo, interogato
un giorno, qual’uomo stimasse più felice in questo mondo? Rispose, quello il quale
si abbandona nella volontà di Dio, e che riceve tutte le cose prospere, ed avverse
dalle sue mani. Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum. (
Questa è la bella libertà, che godono i Figli di Dio, che vale più delle Signorie,
e di tutti i Regni della terra. Questa è la gran pace, che provano i Santi, la quale
exuperat omnem sensum. (
I Santi in questa terra nell’uniformarsi alla volontà divina han goduto un Paradiso
anticipato. I Padri antichi, dice S. Doroteo, che così si conservavano in gran pace,
con prendere ogni cosa dalle mani di Dio. S. Maria Madalena de’Pazzi in sentir solamente
nominare Volontà di Dio, si sentiva consolare, che usciva fuor di se in astasi
d’amore. Non mancheranno per altro le punture delle cose avverse a farsi sentire
dal senso, ma tutto ciò non avverrà, che nella parte inferiore; ma nella superiore
dello spirito regnerà la pace, e la tranquillità, stando la volontà unita a quella
di Dio. Gaudium vestrum (disse il Redentore agli Apostoli) nemo tollet
a vobis. Gaudium vestrum sit plenum. (
Il P. Giovan Taulero (appresso il P. Sangiurè Erar. to 3, e’l P. Nieremb. Vita Div.) narra di se stesso, che avendo egli pregato per molti anni il Signore a mandargli chi gli insegnasse la vera vita spirituale, un giorno udì una voce, che gli disse: Va alla tal Chiesa, ed alla porta trova un misero mendico, scalzo, e tutto lacero; lo saluta: Buon giorno, amico. Il povero risponde: Signor maestro, io non mi ricordo giammai d’aver avuto un giorno cattivo. Il Padre replicò: Iddio vi dia una felice vita. Ripigliò quegli; Ma io non sono stato mai infelice. E poi soggiunse: Udite, Padre mio, non a caso io ho detto non aver avuto alcun giorno cattivo, perchè quando ho fame, io lodo Dio; quando fa neve, o pioggia io lo benedico: se alcuno mi disprezza, mi scaccia, se provo altra miseria, io sempre ne do gloria al mio Dio. Ho detto poi, che non sono stato mai infelice, e ciò anch’è vero, poich’io sono avvezzo a volere tutto ciò, che vuole Dio senza reserba; perciò tutto quel, che m’avviene o di dolce, o di amaro, io lo ricevo dalla sua mano con allegrezza, come il meglio per me, e questa è la mia felicità.E se mai, ripigliò il Taulero, Dio vi volesse dannato, voi che direste? Se Dio ciò volesse (rispose il mendico), io coll’umiltà, e coll’amore mi abbraccierei col mio Signore, e lo terrei sì forte, che se egli volesse precipitarmi all’Inferno, sarebbe necessitato a venir meco, e così poi mi sarebbe più dolce essere con lui nell’inferno, che posseder senza lui tutte le delizie del cielo. Dove avete trovato voi Dio, disse il Padre? E quegli: Io l’ho trovato, dove ho lasciate le creature. Voi chi siete? E’l povero: Io sono Re. E dove sta il vostro Regno? Sta nell’anima mia, dove io tengo tutto ordinato, le passioni ubbidiscono alla ragione, e la ragione a Dio. Finalmente il Taulero gli domandò, che cosa l’avea condotto a tanta perfezione? E’ stato (rispose) il silenzio, tacendo cogli uomini per parlare con Dio; e l’unione, che ho tenuta col mio Signore, in cui ho trovata, e trovo tutta la mia pace. Tale in somma fu questo povero per l’unione, ch’ebbe colla divina volontà; egli fu certamente nella sua povertà più ricco, che tutti i Monarchi della terra, e ne’suoi patimenti più felice che tutti i mondani colle loro delizie terrene.
Oh la gran pazzia è quella di coloro, che ripugnano alla divina volontà; hanno
già essi da soffrire i travagli, perchè niuno mai può impedire, che non si eseguiscano
i divini decreti. Voluntati ejus quis resistet? (
E che altro in somma vuole il nostro Dio, se non il nostro bene? Chi mai possiamo
trovare, che ci ami più di Dio? Altra non è la sua volontà, non solo che niuno si
perda, ma che tutti si salvino, e si facciano santi. Nolens aliquos perire, sed
omnes ad poenitentiam reverti. (
Se vuoi dunque, anima divota, piacere a Dio, e vivere in questa terra una vita
contenta, unisciti sempre, ed in tutto alla divina volontà. Pensa, che tutti i peccati
della tua vita sconcertata, ed amara ch’hai fatta, son succeduti, perchè ti sei
scostata dalla volontà di Dio. Abbracciati da oggi avanti col divino beneplacito;
e di sempre in tutto ciò, che ti accade: Ita Pater, quoniam sic fuit placitum
ante te. (
Oh beato te, mio lettore, se farai sempre così! ti farai certamento santo; e farai una vita contenta, ed una morte più felice. Quando alcuno passa all’altra vita, tutta la speranza, che si concepisce della sua salvazione, si scorge dall’intendere, se quegli è morto rassegnato, o no. Se tu. come avrai abbracciato in vita tutte le cose venute da Dio, così anche abbraccierai la morte per adempire la sua divina volontà, certamente ti salverai, e morirai da santo. Abbandoniamoci dunque in tutto al beneplacito di quel Signore, ch’essendo sapientissimo, poichè ha data la vita per nostro amore, vuol anche il meglio per noi. Siam pur sicuri, e persuasi, dice S. Basilio, che senza comparazione meglio procura Dio il nostro bene, di ciò, che noi possiamo mai fare, e desiderare.
Ma veniamo a vedere intorno alla pratica in quali cose abbiamo da uniformarci alla volontà di Dio. Per 1. dobbiamo uniformarci nelle cose naturali, che avvengono fuor di noi, come quando fa gran caldo, gran freddo, pioggia, carestia, pestilenza, e simili. Guardiamci di dire: Che caldo insopportabile! che freddo orribile! che disgrazia! che mala forte! che tempo infelice! od altri termini, che dimostrino ripugnanza alla volontà di Dio. Noi dobbiamo volere ogni cosa, com’ella è, perchè Dio è quegli, che dispone tutto. S. Francesco Borgia, andando una notte ad una casa della Compagnia, mentre fioccava, bussò più volte, ma perchè i Padri dormivano, non gli fu aperto. Fatto giorno, molto si rammaricarono quelli d’averlo fatto aspettare così allo scoperto; ma il Santo disse di aver ricevuta in quel tempo una gran consolazione, in pensare, che Dio era quegli, che gli gittava addosso quei fiocchi di neve.
Per 2. dobbiamo uniformarci elle cose, che avvengono dentro di noi, come nel patir fame, sete, povertà, desolazioni, disonori. In tutto dobbiamo dir sempre: Signore fate e disfate voi, io son contento: voglio solo quel, che volete voi. E così anche dice il P. Rodriguez, che dobbiamo rispondere per quali finti casi, che il demonio ci mette alle volte in mente, affin di farci cadere in qualche cattivo consenso, o almeno per inquietarci. Se il tale ti dicesse la tal parola, se ti facesse la tale azione, che diresti? che faresti? Rispondiamo sempre: Direi, e farei quel che vuole Dio. E così ci libereremo da ogni difetto, e molestia.
Per 3. Se abbiamo qualche difetto naturale, d’anima o di corpo, mala memoria,
ingegno tardo, poca abilità, membro storpio, salute debole, non ce ne lamentiamo.
Che merito avevamo noi, e qual obbligo avea Dio di darci una mente più sublime,
un corpo meglio fatto? non poteva egli crearci brutti? non lasciarci nel nostro
niente? Chi mai riceve qualche dono, e va cercando patti? Ringraziamolo dunque di
ciò, che per sua mera bontà ci ha donato, e contentiamoci del come ci ha fatti.
Chi sa, se avendo noi maggior talento, sanità più forte, viso più grazioso, ci avevamo
a perdere? A quanti il lor talento, e scienza è stata occasione di perdersi coll’invanirsene,
e dispregiare gli altri; nel quale pericolo sono più facilmente coloro, che avanzano
gli altri nelle scienze, e ne’talenti? A quanti altri la bellezza, o la fortezza
del corpo, è stata occasione di precipitare in mille scelleraggini? Ed all’incontro
quanti altri per esser poveri, o infermi, o deformi di fattezze, si son fatti santi,
e salvati? che se fossero stati ricchi, sani, o belli d’aspetto, si sarebbon dannati.
E così contentiamoci di quel, che Dio ci ha dato. Porro unum est necessarium
(
Per 4. bisogna, che specialmente stiamo rassegnati nelle infermità corporali,
e bisogna, che l’abbracciamo volentieri, ed in quel modo, e per quel tempo, che
vuole Dio. Dobbiamo sibbene adoperarvi i rimedi ordinari, perchè così vuole ancora
il Signore, ma se quelli non giovano, uniamoci colla volontà di Dio, che ci gioverà
molto più della sanità. Signore, diciamo allora, io non voglio guarire, nè stare
infermo, voglio solo quel che volete voi. Certamente è maggior virtù nelle malattie
il non lamentarsi de’dolori; ma allorchè questi fortemente ci affliggono, non è
difetto il palesarli agli amici, ed anche il pregare il Signore, che ce ne liberi.
Intendo ne’dolori grandi, poichè all’incontro molto difettano in ciò alcuni altri,
che ad ogni semplice dolore, o fastidio vorrebbero, che tutto il mondo venisse a
compatirli, ed a pianger loro d’intorno. Del resto anche Gesù Cristo, vedendosi
vicino alla sua amarissima passione, palesò la sua pena a’discepoli: Tristis
est anima mea usque ad mortem. (
Quale sciocchezza è poi quella coloro, che dicono desiderar la salute, non bià per patire, ma per maggiormente servire il Signore, in osservar le regole, servir la comunità, andar alla Chiesa, far la Comunione, far penitenza, studiare, impiegarsi nella salute dell’anime confessando, predicando? Ma io dimando, divoto mio, dimmi, perchè tu desideri di far queste cose? per dar gusto a Dio? E che vai cercando, quando sei certo, che il gusto di Dio non è, che facci orazione, Comunioni, penitenze, studi, o prediche, ma che soffri con pazienza, quell’infermità, e quei dolori, che ti manda? Unisci allora i tuoi dolori con quelli di Gesù Cristo. Ma mi dispiace, che stando così infermo sono inutile, e di pese alla comunità, alla casa. Ma conforme voi vi rassegnate alla volontà di Dio, così dovete credere, che i vostri Superiori anch’essi si rassegnino, vedendo che voi non per vostra pigrizia, ma per voler di Dio apportiate questo peso alla casa. Eh che questi desideri, e lamenti, non nascono dall’amore di Dio, ma dall’amor proprio che va cercando pretesti per allontanarti dalla volontà di Dio. Vogliamo dar gusto a Dio? Diciamo allora, che ci vediamo confinati in un letto, diciamo al Signore questa sola parola, fiat voluntas tua; e questa replichiamo sempre cento, e mille volte, che con questa sola daremmo più gusto a Dio, che non gli daressimo con tutte le mortificazioni, e divozioni, che possiamo fare. Non ci è meglior modo di servire a Dio, che abbracciando allegramente la sua volontà. Il V. P. M. Avila (Epist.2) scrisse ad un Sacerdote infermo: Amico non stare a fare il conto di quel, che faresti essendo sano, ma contentati di stare infermo per quanto a Dio piacerà. Se tu cerchi la volontà di Dio, che cosa più t’importa lo istar sano, che infermo? E certamente ben disse ciò, perchè Dio non viene già glorificato dalle opere nostre, ma dalla nostra rassegnazione, e conformità al suo Santo volere. Perciò diceva ancora S. Francesco di Sales, che si serve più Dio col patire, che coll’operare.
Molte volte ci mancheranno i medici, le medicine, o pure il medico non giungerà a conoscere la nostra infermità, ed in ciò anche bisogna, che ci uniformiamo alla divina volontà, la quale ciò dispone per nostro bene. Si arra d’un uomo divoto di S. Tommaso Cantuariense (l. 5, c. 1) ch’essendo infermo andò al sepolcro del Santo per ottenere la sanità. Ritornò sano alla Patria, ma poi disse fra se: mae l’infermità più mi giovasse a salvarmi, questa sanità che mi serve? Con questo pensiero ritornò al sepolcro, e pregò il Santo, che chiedesse a Dio quello, che gli era più espediente per la salute eterna, e fatto ciò ricadde nell’infermità, ed egli se ne stette tutto ciò contento, tenendo per fermo, che Dio così disponeva per suo bene. Narra il Surio similmente, che un cieco ricevè la vista per intercessione di S. Bedasto Vescovo; ma dopo fece orazione, che se quella vista non era espediente per l’anima sua, tornasse ad esser cieco, ed avendo orato, rimase cieco, come prima. Allorchè dunque stiamo infermi, il meglio è che non cerchiamo nè l’infermità, nè la sanità, ma ci abbandoniamo nella volontà di Dio, acciò disponga di noi come li piace. Ma se vogliamo cercar la sanità, domandiamola almeno sempre con rassegnazione, e con condizione, se la sanità del corpo è conveniente alla salute dell’anima: altrimenti una tal preghiera sarà difettosa, nè sarà esaudita, poichè il Signore non esaudisce tali sorte di preghiere non rassegnate.
Il tempo dell’infermità io lo chiamo pietra di paragone degli spiriti, perchè in quello si scopre di qual carato è la virtù, che possiede un’anima. Se quella non s’inquieta, non si lamenta, non cerca, ma ubbidisce a’medici, a’Superiori, e se ne sta tranquilla, tutta rassegnata nella divina volontà, è segno, che in lei vi è fondo di virtù. Ma che dee dirsi poi d’un infermo, che si lamenta, e dice ch’è poco assistito dagli altri? che le sue pene sono insopportabili? che non trova rimedio, che gli giovi? che il medico è ignorante; e talvolta si lagna ancora con Dio, che troppo calchi la mano? Racconta S. Bonaventura nella vita di S. Francesco (cap. 14) che stando il Santo travagliato straordinariamente da dolori, uno de’suoi Religiosi troppo semplice gli disse: Padre, pregate Dio, che vi tratti un poco più dolce, perchè pare, che calchi troppo la mano. Ciò udendo S. Francesco, diede un grido, e gli rispose: Sentite: s’io non sapesse, che ciò, che dite, nasce da semplicità, non vorrei più vedervi, avendo voi ardito di riprendere i giudizi di Dio. E ciò detto, benchè molto debole, ed estenuato dal male, si buttò dal letto in terra, e baciandola, disse: Signore, io vi ringrazio di tutti i dolori, che mi mandate. Vi supplico a mandarmene più, e così vi piace. Il mio gusto è, che voi mi affliggiate, nè mi risparmiate punto, perchè l’adempimento della vostra volontà è la maggior consolazione, che posso ricevere in questa vita.
A ciò bisogna anche ridurre la perdita, che tal volta noi soffriamo delle persone
utili al nostro profitto, o temporale, o spirituale. l’anime divote spesso fanno
gran difetti circa questo punto, non rassegnandosi alle divine disposizioni. La
nostra santificazione non ci ha da venire da’Padri spirituali, ma da Dio. Vuol’egli
già, che noi ci vagliamo de’Direttori per la guida dello spirito, quando ce li dà;
ma quando ce li toglie, vuole che ce ne contentiamo, ed accresciamo la confidenza
nella sua bontà, dicendo allora: Signore, voi me l’avete dato questo ajuto, ora
me l’avete tolto, sia sempre fatta la vostra volontà; ma ora supplite voi, ed insegnatemi
quel, che debbo fare per servirvi. E così similmente dobbiamo accettare dalle mani
di Dio tutte l’altre croci, che ci manda. Ma tanti travagli, dite voi, sono castighi.
Ma rispondo io, i castighi, che Dio manda in questa vita, non sono grazie e benefici?
Se l’abbiamo offeso, dobbiamo soddisfare la divina giustizia in qualche modo, o
in questa, o nell’altra vita. Perciò dobbiamo dir tutti con S. Agostino: Hic
ure, hic seca, hic non parcas, ut in aeternum parcas: e col S. Giobbe; Haec
sit mihi consolatio, ut affligens me dolore non parcas. (
Di più obbiamo star rassegnati nelle desolazioni di spirito. E’ solito il Signore,
quando un’anima si dà alla vita spirituale, di abbondarla di consolatiozioni, affin
di slattarla da’gusti del mondo; ma poi quando la vede più fermata nello spirito,
ritira la sua mano, per provare il di lei amore, e vedere se lo serve, ed ama senza
paga qui in terra di gusti sensibili. Mentre si vive (dicea S. S. Teresa),
non consiste il gaudagno in procurare di godere più Dio, ma in fare la sua volontà.
Ed in altro luogo: Non consiste l’amore di Dio in tenerezze, ma in servire con
fortezza, ed umiltà. Ed altrove: Con aridità, e tentazioni fa pruova il Signore
de’suoi amanti. Ringrazi dunque il Signore l’anima, quando si vede accarezzata
con dolcezzo, ma non si deve affliggere con impazienze, quando si vede lasciata
in desolazione. Bisogna molto avvertir questo punto, perchè alcune anime sciocche
vedendosi aride, si pensano, che Dio l’abbia abbandonate, o pure, che non faccia
per sees la vita spirituale; e così lasciano l’orazione, e perdono quanto han fatto.
Non v’è più bel tempo di esercitare la nostra rassegnazione alla volontà di Dio,
che il tempo dell’aridità. Io non dico, che voi non proviate pena in vedervi lasciata
dalla presenza sensibile del vostro Dio; non più sensirsi una tal pena; nè può l’anima
non lagnarsene, quando lo stesso nostro Redentore se ne lagnò sulla croce: Deus
meus, ut quid dereliquisti me? (
Ma dirai: S’io sapessi, che questa desolazione viene da Dio, mi starei contento; ma quel che mi affligge, e m’inquieta, è il timore, che venga per colpa mia, e per castigo della mia tepidezza. Bene; togli dunque la tepidezza, ed usa più diligenza. Ma forse perchè stai in oscurità, vuoi perciò inquietarti, perciò lasciare l’orazione, e così far doppio il tuo male? Venga l’aridità per tuo castigo, come dici. Ma questo castigo, non te lo manda Dio? Accettalo dunque in castigo, a te ben degno, e stringiti colla divina volontà. Non dici tu, che ti meriti l’Inferno? ed ora perchè ti lamenti? forse tu meriti, che Dio ti consoli? Eh via contentati del come Dio ti tratta; prosiegui l’orazione, e’l cammino intrapreso, e terni da oggi avanti, che i tuoi lamenti vengano da poca umiltà, e da poca rassegnazione alla volontà di Dio. Quando un’anima va all’orazione, non può cavarne maggior profitto, che unirsi alla volontà divina; onde rassegnati, e dì: Signore, io accetto questa pena dalle vostre mani, e l’accetto per quanto a voi piace; se volete ch’io stia così afflitto per tutta l’eternità io son contento. E così quell’orazione benchè penosa to gioverà più d’ogni più dolce consolazione.
Ma bisogna pensare, che non sempre l’aridità è castigo, ma alle volte disposizione
di Dio per nostro maggior profitto, e per conservarci in umiltà. Acciocchè S. Paolo
non s’invanisse de’doni ricevuti, il Signore permettea, che fosse tormentato da
tentazioni impure. Ne magnitudo revelationum extollat me, datus est mihi stimulus
carnis meae, Angelus Satanae, qui me colaphizet. (
Finalmente bisogna, che ci uniamo colla volontà di Dio circa il punto della nostra morte, e per quel tempo, ed in quel modo, che Dio la manderà. S. Geltrude (l. 1. Vita c. 11) salendo un giorno una collina, sdrucciolò, e cadde in una valle. Le dimandarono poi le compagne, se avesse avuto paura di morire senza Sagramenti? Rispose la Santa: Io desidero molto di morire coi Sagramenti, ma fo più conto della volontà di Dio, perchè tengo la miglior disposizione, che possa aversi a ben morire, sia di sottoporsi a ciò, che Dio vorrà; perciò io desidero qualunque morte, che piacerà di darmi al mio Signore. Narra S. Gregorio ne’suoi Dialoghi (l. 3. c.37), che i Vandali avendo condannato a morire un certo Sacerdote chiamato Santolo, gli diedero poi facoltà di scegliersi qual sorta di morte volesse; il santo uomo ricusò di eleggere, ma disse: Io sono nelle mani di Dio, e riceverò la morte, ch’egli permetterà, che voi mi facciate soffrire, nè io voglio altra, che quella. Quest’atto piacque tanto al Signore, che avendo quei barbari determinato di farli tagliar la testa, fè arrestare il braccio del carnefice, e con tal miracolo quelli si piegarono a concedergli la vita. Circa dunque il modo, quella per noi dobbiamo stimate la miglior morte, che Dio ci avrà determinata. Savateci Signore (diciamo sempre, allorchè pensiamo alla nostra morte), e poi fateci morire, come a voi piace.
Così ancora dobbiamo uniformarci al quando del nostra morte. Cos’è questa terra,
se non una carcere dove stiamo a patire, ed in pericolo di perdere Dio ogni momento?
Questo facea gridare a Davide: Educ de custodia animam meam. (
Dico di più, chi poco desidera il Paradiso, dà segno di poco amore a Dio. Chi
ama, desidera la presenza dell’amato; ma noi non possiamo vedere Dio, se non lasciamo
la terra; e perciò tutti i Santi han sospirata la morte, per andare a vedere il
loro amato Signore. Così sospirava S. Agostino. Eja moriar, ut te videam.
Così S. Paolo: Desiderium habens dissolvi, et esse cum Cristo (
Per ultimo anche ne’ gradi di grazia, e di gloria bisogna, che noi ci uniformiamo al divino volere: dobbiamo sibbene stimare le cose di gloria di Dio, ma più la sua volontà: dobbiamo desiderare d’amarlo più de’Serafini, ma non dobbiamo poi volere altro grado d’amore, se non quello, che il Signore ha daterminato di donarci. Dice il P. M. Avila (Audi filia c.12): Io non credo, che vi sia stato Santo, che non abbia desiderato d’esser migliore di quello, ch’era; ma ciò non togliea loro la pace, perchè non lo desideravano per propria cupidità, ma per Dio, della cui distribuzione si tenevano contenti, benchè avesse dato loro meno: stimando per vero amore più il contentarsi di quel che Dio dava loro, che’l desiderare di aver molto. Il che viene a dire, come spiega il P. Rodriguez (trat. 8. c. 30), che sebbene dobbiamo noi esser diligenti nel procurar la perfezione per quanto possiamo, affinchè non ci serva di scusa la propria tepidezza, e pigrizia, come fanno alcuni con dire: Dio me l’a da dare: io non posso più, che tanto; nondimeno quando poi manchiamo, non dobbiamo perder la pace, e la conformità alla volontà di Dio in aver permesso il nostro difetto, nè perderci d’animo; alziamoci subito allora da quello: umiliandoci col pentimento, e cercando maggior ajuto dal Signore, proseguiamo il cammino. Così parimente, ancorchè ben possiamo desiderare di giunger in cielo al coro de’Serafini, più gloria a Dio, e per maggiormente amarlo; dobbiamo noi però rassegnarci al suo santo volere, contentandoci di quel grado, che si degnerà di darci per sua misericordia.
Sarebbe poi un difetto troppo notabile il desiderare di aver doni di orazione sovranaturale, e precisamente d’estasi, visioni, e rivelazioni; che anzi dicono i maestri di spirito, che quelle anime, le quali son favorite da Dio di simili grazie, debbono pregarlo a privarnele, acciocchè l’amino per via di pura fede, ch’è la via più sicura. Molti sono giunti alla perfezione senza queste grazie sovranaturali, le sole virtù son quelle che sollevano l’anime alla santità, e principalmente l’uniformità alla volontà di Dio. E se Dio non vuole innalzarci a grado sublime di perfezione, e di gloria, conformiamoci in tutto al suo santo volere, pregandolo che ci salvi almeno per la sua misericordia. E facendo così, non sarà poca la mercede, che per la sua bontà ci donera il nostro buon Signore, il quale ama sopra tutto le anime rassegnate.
In somma dobbiamo mirar tutte le cose, che ci accadono, e ci avranno da accadere,
come procedenti dalle divine mani. E tutte le nostre azioni dobbiamo indrizzarle
a questo solo fine, di far la volontà di Dio, e farle solo perchè Iddio le vuole.
E per andare in ciò più sicuri, bisogna, che dipendiamo dalla guida de’ nostri Superiori
in quanto all’esterno, e da’ Direttori in quanto all’ interno, per intender da essi
ciò che vuole Dio da noi; avendo gran fede alle parole di Gesù Cristo, che ci ha
detto, Qui vos audit, me audit. (
Sia sempre amata, e lodata la divina volontà, e la B. Vergine Maria immacolata.
1 Samuel
2 Samuel
Job
Psalms
4:9 5:13 37 38:10 39:18 41:3 56:8 107:1 118:94 141:8 142:10 148
Proverbs
Ecclesiastes
Song of Solomon
Isaiah
Amos
Matthew
6:10 11:16 11:26 12:50 26:38 26:39 27:46
Luke
John
Acts
Romans
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